Di Syna su 17.1.2025
Categoria: Recht

Tempo di lavoro: quali le disposizioni?

Frenesia, tempistiche strette e imprevisti portano spesso a mescolare orari di lavoro, pause e tempo libero. Tre esempi tratti da professioni differenti mostrano la diversa gestione pratica del tempo di lavoro. Il responsabile del Centro di competenza Diritto per la Svizzera tedesca del sindacato Syna, Daniel Zoricic, commenta il rispetto dei requisiti di legge.

Caso 1: Collega malata, pausa rimandata

È domenica e Andrej si accinge a iniziare la giornata di lavoro in un noto ristorante della città. Il sole splende e ci saranno molti ospiti per il brunch. Andrej arriva presto, apparecchia i tavoli, allestisce il buffet e si assicura che tutto sia perfetto. Ma poi la notizia: una collega è malata e con un preavviso così breve non si è trovato nessuno per sostituirla. Il team dovrà dividersi il suo lavoro e occuparsi di un numero di tavoli ben superiore a quello normalmente previsto.

Tutto il personale dà il massimo per soddisfare gli ospiti, ma non c'è un attimo di tregua: sulla grande terrazza soleggiata gli avventori si alternano incessantemente. Che si tratti di un pasto completo o di un caffè, il flusso di persone non si ferma mai. Andrej ha appena il tempo di dare un morso a un panino. Una vera pausa pranzo? Impossibile! Andrej riesce a prendersi una pausa solo nel pomeriggio, quando il fermento si attenua.

Daniel Zoricic: Questi casi sono frequenti soprattutto nelle professioni che prevedono un contatto regolare con i clienti. Secondo la Legge sul lavoro (LL), la pausa pranzo è obbligatoria e dipende dall'orario di lavoro: più lungo è il turno, più lunga deve essere la pausa. La legge stabilisce inoltre che sia collocata possibilmente a metà del turno di lavoro. Se viene fruita alla fine del turno, come talvolta accade nel commercio al dettaglio, perde di ogni significato.

Nel caso di Andrej, la pausa pranzo tardiva sembra essere un'eccezione dovuta all'improvvisa assenza per malattia di una collega. In una situazione del genere si può anche chiudere un occhio, ma se fosse la norma sarebbe chiaramente illegale e bisognerebbe trovare delle soluzioni per garantire che la pausa lunga possa essere fruita all'incirca a metà del turno di lavoro.

Caso 2: Ingorgo lungo il tragitto per il cantiere

Tobias lavora come elettricista in una piccola squadra. Lui e i colleghi partono dal magazzino alle 7 in punto con il materiale necessario, ma lungo il tragitto rimangono bloccati in un ingorgo causato da un incidente e giungono in cantiere con mezz'ora di ritardo.

La squadra si mette immediatamente al lavoro per compensare il tempo perso, ma a fine giornata il capo pretende che i trenta minuti di ritardo del mattino vengano recuperati. Tobias non lo ritiene giusto: il ritardo non è dipeso da loro, eppure si pretende che rimangano più a lungo. Si chiede perché il tempo di viaggio aggiuntivo non venga riconosciuto e perché debbano «pagare» per una situazione sulla quale non possono influire in alcun modo.

Daniel Zoricic: L'obiezione di Tobias è corretta. Dal momento in cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, ai sensi della legge sul lavoro (LL) questo è considerato tempo di lavoro. Non è consentito trasferire ai dipendenti rischi imprenditoriali come può esserlo del tempo di viaggio supplementare a causa di un incidente. Concretamente, il turno di lavoro inizia dal momento in cui Tobias e i suoi colleghi lasciano il magazzino. Questa disposizione si applica chiaramente agli elettricisti, ma in altri settori i tempi di viaggio possono essere regolamentati in modo diverso.

In merito al lavoro straordinario, il datore di lavoro può chiedere di prestare lavoro supplementare in caso di necessità operative, sempreché sia ragionevolmente esigibile. Ma si tratta pur sempre di lavoro prestato oltre l'orario giornaliero prestabilito, non di «lavoro complementare» nel senso di un recupero. Nel caso di Tobias, i 30 minuti aggiuntivi sarebbero quindi consentiti, ma rientrano nelle ore supplementari.

Caso 3: Tempo di preparazione insufficiente

Julia lavora come commessa nella piccola panetteria di una stazione ferroviaria. Il suo turno inizia alle 6 del mattino. In mezz'ora deve spacchettare i prodotti da forno, preparare la macchina del caffè e predisporre i menu per il pranzo, poiché i primi pendolari acquistano caffè e croissant già alle 6.30. Ma il tempo non basta per allestire il bancone.

Una seconda commessa si aggrega quando apre il negozio, ma anche in due il tempo per preparare tutto è a malapena sufficiente. L'affluenza mattutina di clienti è enorme. Essendo nuova, Julia crede di essere più lenta delle altre per la mancanza di routine, ma una collega esperta le spiega che è la stessa cosa per tutte: semplicemente, anticipano di venti minuti l'inizio del turno – ovviamente senza compensazione: la direttrice della filiale ha infatti vietato loro di timbrare il cartellino prima delle 6, sostenendo che è sempre andato bene così. Julia si sente sfruttata e non capisce perché la persona responsabile dell'apertura debba lavorare 20 minuti in più ogni mattina senza essere pagata.

Daniel Zoricic: Julia non è obbligata a lavorare senza retribuzione e non le consiglio di farlo. A partire dal momento in cui si mette a disposizione della datrice di lavoro, questo tempo è considerato come orario di lavoro. Verosimilmente, il problema in questo caso è che lavorare prima delle 6 sarebbe considerato lavoro notturno, il che richiederebbe un'autorizzazione che probabilmente non è disponibile.

Sarebbe opportuno parlare con la direttrice della filiale per trovare possibili soluzioni. Si potrebbe, ad esempio, ridurre l'offerta al mattino per limitare il tempo di preparazione; oppure, la seconda collega potrebbe iniziare il turno prima dell'apertura del negozio, in modo da poter allestire tutto per tempo. In alternativa, l'orario di apertura potrebbe essere posticipato di un quarto d'ora. Qualunque sia la soluzione, Julia non deve assolutamente lavorare a titolo gratuito.

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