Di Migmar Dhakyel su 8.6.2020
Categoria: Rami professionali

«Siamo sottopagati!»

La specialista in cure infermieristiche Karin Grossniklaus esercita la professione da oltre 30 anni. Attualmente lavora a tempo parziale in una casa di riposo del Canton Berna. Nell'intervista ci confida cosa le piace del suo lavoro – ma anche cosa deve urgentemente cambiare.

Cara Karin, grazie mille per l'incontro e per volerci raccontare della tua esperienza. Prima di tutto mi piacerebbe sapere cosa ti ha convinta ad aderire al sindacato Syna?

Circa 20 anni fa sono stata vittima di un forte mobbing sul lavoro. Sono anche stata licenziata senza preavviso, così mi sono rivolta a Syna perché mi serviva aiuto. Da allora mi impegno nel sindacato, perché non ci si può difendere da soli. Se in azienda accenni a un problema e cerchi di cambiare qualcosa, rischi il licenziamento. Per cambiare veramente le cose a livello politico, dobbiamo essere molto più numerosi ad organizzarci nei sindacati.

Cosa non va nel tuo settore e cosa dovrebbe cambiare?

Il riconoscimento e lo stipendio! Dobbiamo essere disponibili 365 giorni all'anno per 24 ore al giorno. Il lavoro è fisicamente e mentalmente estenuante. Abbiamo residenti che soffrono di demenza senile; con queste persone occorre essere immensamente comprensivi e pazienti. Dall'alto, il datore di lavoro ci mette pressione per lavorare in modo più efficiente. Poi ci sono i parenti, che naturalmente hanno aspettative e richieste. Dobbiamo parlare con loro e rispondere alle loro domande.
Siamo sempre in prima linea. Stiamo parlando di vite umane e il minimo errore può essere fatale. Inoltre, dobbiamo svolgere sempre più lavoro amministrativo: scrivere rapporti, mandare richieste alle assicurazioni malattia e molto altro. Posso quindi tranquillamente affermare che siamo sottopagati.

E com'è la situazione sul fronte degli orari di lavoro?
Vi faccio un esempio: la festa della mamma. Il giovedì sera precedente è emersa la necessità di mettere a disposizione un appartamento libero dove i residenti potessero incontrare le loro famiglie. Ma i locali dovevano essere puliti e disinfettati tra una visita e l'altra. Mi sono ritrovata a dover coordinare il tutto e a stilare un programma delle visite, con così poco preavviso e in aggiunta al mio normale orario di lavoro e ai residenti di cui mi occupo già. Inoltre ho lavorato la domenica e ho effettuato lavori di pulizia.
Tutte queste attività non rientrano nelle mie mansioni. Ma anche qui c'è il problema che sempre più attività vengono delegate. Ma non voglio solo lamentarmi; questa professione ha anche molti lati positivi.
Quali sono, dunque, questi lati positivi e perché hai scelto questo lavoro?

All'inizio volevo fare la pediatra. Essendo la maggiore di quattro fratelli, ero abituata a prendermi cura dei più piccoli. Purtroppo i risultati scolatici non sono bastati. Perciò ho intrapreso una formazione biennale come infermiera pediatrica. Nel frattempo ho maturato 30 anni di esperienza in questa professione. Ho lavorato nella maternità e nella chirurgia di un ospedale. Ho lavorato 2 anni nel servizio Spitex e da parecchi anni lavoro in casa anziani. Nonostante i problemi, non ho mai dubitato della professione e non ho mai pensato di fare altro!
La cosa più bella è l'apprezzamento dei residenti. Quando vado in vacanza sono impazienti del mio rientro. Anche dopo la festa della mamma sono stati in molti a ringraziarmi di cuore. Ogni volta è molto toccante e so che ogni giorno faccio qualcosa di buono per gli altri.

Come hai vissuto la pandemia di coronavirus?

Onestamente mi sono stufata degli applausi, perché in realtà le cose non vanno bene. I datori di lavoro che hanno versato un bonus ai dipendenti si contano sulle dita di una mano. Non c'è stato altro. Gli applausi non bastano. Un esempio? Dopo la festa della mamma, il nostro direttore ha preso i mazzi di fiori che non erano stati distribuiti alle residenti – in altre parole: i resti – e ne ha contati tanti quante le infermiere che lavorano in istituto; non li ha nemmeno consegnati personalmente, ma li ha semplicemente lasciati lì.
La situazione del coronavirus è estremamente difficile. Alcuni residenti ci hanno quasi aggrediti sia verbalmente che fisicamente chiedendoci perché mai li stessimo rinchiudendo. Volevano uscire, adducendo che in fondo erano già alla fine della loro esistenza. Si tratta di situazioni estreme che abbiamo dovuto gestire.

Come vedi il futuro della professione?

Occorre urgentemente migliorare le condizioni d'impiego per rendere questa professione più attrattiva. La maggior parte delle persone abbandona la professione dopo soli quattro-sei anni! Sono pochi gli svizzeri disposti a lavorare in queste condizioni. Di per sé, il diritto del lavoro è buono, ma se poi leggi la lista delle eccezioni il tutto si vanifica da sé. La legge accorda dodici fine settimana liberi all'anno, ma in realtà dovrebbero essere due al mese. Bisogna rapidamente migliorare queste disposizioni, per il bene del nostro ramo professionale. Ecco perché abbiamo bisogno di un CCL.

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